lunedì 31 ottobre 2011

PLOT!

Sono appena tornato dall'università, ho seguito una lezione di lingua e letteratura latina; in particolare il professore ci ha parlato del Satyricon di Petronio.
Per farla breve, a un certo punto dice, più o meno: "...per cui è la trama...", si ferma un attimo, balbetta un po' e poi, come per essere più chiaro, col tono inconfondibile di chi ha trovato una parola migliore: "... il PLOT!".

Mi giro verso la mia amica di corso e le chiedo: "il che?"; e lei, come si risponde a chi ha chiesto un'ovvietà, "il plot!". Ribadisco, "il che?", "ma come, non sai cos'è il plot?" e comincia a sorridere, "è la trama".

Rido anch'io e le dico, con orgoglio, che plot non l'ho mai sentito, che sembra il suono di un pezzo di cacca che cade nell'acqua del cesso;  ; non che le parole si scelgano in base alla loro "bellezza" (non solo); bensì in base alla loro comprensibilità e uso. L'uso di plot, a quanto mi risulta, non è affatto comune; la comprensibilità poi... Dico alla mia amica che allora poteva dire trama, il prof,: "eccheccazzo, di sicuro è meglio di plot..." e sottolineo muovendomi sulla sedia come uno che stacca lo stronzo appeso al proprio ano con un colpo di reni.

Sono ignorante io? Ma per quanto l'inglese sia fondamentale, io non solo non sono obbligato a conoscerlo, non ho neanche una scuola che me lo insegni adeguatamente. Tralaltro a che serve dire plot, se c'è l'apposita bella parolina italiana (di etimologia antichissima e nobilissima)? C'è che l'inglese fa più serio, più scientifico, più specialistico.

Questo è forse l'aspetto che più mi infastidisce dell'immotivata invasione degli anglicismi nei parlanti italiani: l'uso, che mi sembra stupido, proprio da parte di coloro -il professore di latino, poi, ha necessariamente una conoscenza assai profonda della lingua italiana- che più dovrebbero essere sensibili a queste intrusioni. Coloro che saprebbero, volendo, trovare il corrispettivo italiano di parole difficilmente traducibili.  

Quanto preferisco il macellaio sulla tiburtina che dice "er compiùtere", al professore di latino che dice "il plot"!

È l'accademia che, in Italia, veicola un numero mostruoso (perché inutile) di parole inglesi non adattate, e questo perché pare che dire plot sia più "esatto" che trama. Ma da sempre i gerghi specialistici, per la stragrande maggioranza dei termini, si limitano a risemantizzare e a circoscrivere in maniera univoca il senso una parola presa dal linguaggio comune. Oppure a creare nuovi composti, anche con creatività: cannocchiale, è una parola specialistica inventata da Galileo. Nuovo oggetto=nuova parola, ma mica creata dal nulla (come sembra che siano, nella bocca di un italiano, gli anglicismi). E in modo particolare la letteratura prende in prestito parole dalla strada e da tutte le altre discipline. Anche trama, è una parola specialistica; ovvero una parola comune risemantizzata; così come "intreccio". A che serve plot? Davvero fa "più serio"?

Per finire, la classe dominante acculturata è parte (purtroppo non coincide con) della classe dominante tutta, ed è opportuno prendere spunto per una riflessione che di sicuro tornerà spesso su questo blog. I politici e i giornalisti, che in televisione fanno sfoggio di un inglese degradato nelle loro frasi sgrammaticate, compiono un'azione assai più dannosa del povero prof di latino con cui me la sono presa oggi. Usando parole che sembrano specialistiche, ma che sarebbero facilmente traducibili in italiano, se non, addirittura, ne esiste il corrispettivo specialistico, creano una distanza ulteriore tra popolo e istituzioni.

Perchè il macellaio, prima di usare il giornale per incartare le bistecche, dovrebbe leggere e capire senza problemi parole come ad esempio default, escort, ecc... ? 

Ant.Mar.

domenica 30 ottobre 2011

I CRETINI INTELLIGENTI

Sul Venerdì distribuito da laRepubblica, del 28 ottobre 2011, trovo un articolo di Piero Melati a proposito del libretto "The Basics Laws of Human Stupidity", divertito saggio dell'economista Mario M. Cipolla, morto nel duemila, italiano di ottima intelligenza e quindi americano d'adozione. Significativo in questo senso che persino uno scritto che doveva restare ad uso privato per divertire con intelligenza pochi amici intimi, sia stato scritto in inglese. Mi era già capitato fra le mani questo saggio, tradotto, e leggendolo l'avevo trovato intelligente e simpatico, niente di più. Era chiaro l'intento tra il serio e il faceto dell'autore; lo definirei un "libretto da leggere in bagno", senza ironia, anzi nel senso più nobile.

Per farla breve, Cipolla individua i personaggi più pericolosi per l'umanità: gli "stupidi intelligenti". Espressione che io correggerei, se ho capito bene le pagine di Cipolla, in "stupidi acculturati" pur annullando l'ossimoro dell'autore. Coloro che hanno la cultura ma non l'intelligenza necessaria a saperla usare correttamente. L'antisemitismo non è invenzione hitleriana; Hitler lesse libri e trattati antisemiti (ebbe la cultura); ma non ebbe l'intelligenza di capirne la stupidità. Ad ogni modo, pur consigliando a chiunque di perdere 20 minuti (non di più) a leggere questo saggio di Cipolla, è l'articolo di Melati che mi interessa, prendo spunto da una frase.

Cito: "E il cretino intelligente ovviamente conosce l'inglese, pronunzia giunior il latino junior, dice network, family, cool, friendly, e il secchione sfigato è nerd ...".
Mi ha fatto riflettere; perchè da un po' di tempo mi ero accorto di un'influenza dell'inglese non solo, e non semplicemente, in parole nuove e necessarie che non vengono adattate, come tutto il lessico informatico o economico; ma un'incursione diretta nei discorsi quotidiani. L'uso del "cretino intelligente" di Melati è l'uso che si fa dell'inglese nei salotti di cultura. I dottorandi di storia delluniversità di Bologna organizzano ogni estate un incontro chiamato "Summer school". Nessuno più fa il tirocinio, ma lo stage (tralaltro pronunciato alla inglese, ma essendo un prestito dal francese che l'inglese ha adottato e adattato alla propria pronunzia). Gli aiuti statali o da parte dei genitori si chiamano welfare; avete mai provato al bar o per strada a chiedere cos'è il welfare? provateci, e potrete misurare la distanza tra popolo e istituzioni in questo paese. È una questione anche di libertà d'informazione e d'opinione l'uso di parole che siano riconoscibili per tutti.

L'uso inutile dell'inglese da parte della classe dominante (tra cui, sopratutto, giornalisti e politici) è davvero da stupidi; anche perchè spesso non solo è inutile ma pretende anche una qualche specificità maggiore del suo corrispettivo italiano. se volete farvi guardare con sufficienza e deridere provate a dire chiocciola invece di at a un libero professionista. provate a dire barra obliqua invece di slash; come minimo vi prendono per un pescatore siciliano del secolo scorso. forse è per questo che esiste anche un uso inutile dell'inglese di coloro che acculturati non lo sono tanto. E la cosa è tanto più grave in quanto non lo si fa in questi casi per apparire cosmopoliti o "uomini di mondo"; ma per apparire proprio "ignoranti", "coatti", come si dice a roma.

Ero in una trattoria romana con mio padre; al pagamento del conto il cameriere (circa 20 anni) saluta il vecchio dicendo "tènchiu doctorr"; con una pronuncia nemmeno italiana, proprio romanaccia. In macchina con un amico e la sua ragazza, fine della serata, accompagniamo prima lei. Una volta fermi sotto casa lei ci dice "allora guys, ci sentiamo tomorrow". Perché? Certo, è sempre fatto in tono scherzoso, come fosse un gioco di parole. Ma non lo è, e non fa sorridere. L'inglese gode dello statuto di lingua internazionale, e cioè la più prestigiosa. Ma "fa fico" o fa schifo, dire "ci vediamo tomorrow"?

Non si tratta di vietare l'uso dell'inglese, e di lasciare gli italiani chiusi in un provincialismo ottuso, anzi, si tratta proprio di conoscere davvero l'inglese; e di conoscere davvero l'italiano. Si creano questi aborti linguistici perché l'italiano medio non sa bene l'italiano e peggio ancora l'inglese; e non perché, come ad esempio in Danimarca, sappiamo benissimo l'inglese al punto da essere bilingui. Pochi giorni fa vedo un autobus, parcheggiato al lato del capolinea di Piazzale Clodio, a Roma, con su scritto "fuori service". Che cos'è? che cosa vuol dire? Secondo me vuol dire non conoscere l'italiano e ancor meno l'inglese. È un tentato ibrido, come "ci vediamo tomorrow", solo che fuori servizio in inglese si dice "out of order". C'è la possibilità che sia un ibrido col francese "hors service"; ma ho i miei forti dubbi: il francese non viene usato in tal modo, mentre l'inglese si, e in continuazione.

A cosa è dovuto quest'uso totalmente inutile e, almeno per me, un po' fastidioso, dell'inglese nei discorsi quotidiani? Le ragioni di un uso, nelle "accademie", che si vuole "specialistico" pur non essendo necessario, sono diverse dalle ragioni di un uso "ignorante" e ostentato di un ragazzino al parco?

Ant.Mar.

L'INGLESE È PIÙ AGILE DELL'ITALIANO (?)

La conclusione è sempre questa. Tutte le volte che mi è capitato di discutere con degli italiani sugli anglicismi inutili che usiamo, la frase magica, con cui si intende chiudere il discorso, il motivo fondamentale di questa abitudine, è: l'inglese è più svelto, più diretto e facile dell'italiano. Cioè? "Ticket" è più veloce di "biglietto", "zoom" è più agile di "ingrandimento". Provate a osservare l'espressione di schifo degli italiani alla parola "calcolatore", e come godono a dire compiuterr (perchè non diciamo mica "compjuta", secondo la pronuncia inglese). Ma l'inglese, si dice, non è solo più agile dell'italiano; è anche più spudorato nel creare neologismi. Il "mouse", davvero, non ce la sentiamo in Italia di chiamarlo "topo" (cosa che i francesi hanno fatto senza problemi: "souris"; e gli spagnoli, e i tedeschi e i portoghesi); e l'efficacia di "click" è insuperabile.

È vero, ma solo in parte, una piccola parte. Perché questo discorso, comune a chiunque, anche studenti di linguistica e professori, sottintende non solo una supposta superiorità di una lingua rispetto a un'altra; cosa che proprio linguisticamente non ha alcun senso; ma anche, cosa ben più grave, una concezione della propria lingua come di una cosa ferma e limitata, per cui si tende a affidare i neologismi ad altre lingue. Eppure l'italiano è particolarmente fornito di possibilità creative. Basti pensare all'enorme quantità di suffissi e prefissi. "Topo" per "mouse" non va bene, certo, ma già "topino" non sarebbe più accettabile? Il suffisso -ino è una fonte inesauribile di novità: basti pensare alla triade calza-calzino-calzone; tre parole di significato diverso, create grazie a dei suffissi. L'ultima tralaltro si differenzia semanticamente tra il plurale "calzoni" (pantaloni) e "calzone" (la pizza ripiegata). Tanto per fare un semplicissimo esempio su quanto le possibilità di una lingua di creare siano infinite. Se "topino" non convince, si potrebbe partire da un altro punto di vista, semplicemente. Non fare un calco, ma chiamarlo per esempio "manina", o "freccetta"; le possibilità sono infinite. Immagino quanti, a leggere queste traduzioni storcano il naso come davanti a della cacca fresca. Ma è solo questione di abitudine.

Ci sono anche quegli anglicismi che proprio non possono andare bene per un parlante italiano, che visibilmente non sono nè più veloci nè più facili. Nessuno mi potrà mai convincere che "desktop", con quel -kt-, è più agile di "scrivania" (traduzione proposta dal software Ubuntu, della Linux). E difatti viene pronunciato "desstopp", almeno a Roma; e se dici "scrivania" in questo senso, è assai probabile che tu non venga compreso. Oppure, anche qui, si potrebbe partire da un altro punto di vista e chiamarlo "sfondo" o "schermo" e via via secondo le idee. Ma quale piacere dà il pronunciare, con accento italianissimo, desktop!

Provate a spiegare a un francese, a uno spagnolo o a un inglese che computer in italiano si dice computer: rimangono stupefatti. Questi paesi non solo hanno la tendenza a tradurre le parole ed espressioni nuove, ma anche adattano alla propria pronuncia e sistema grafico quelle non tradotte. "Ordinateur" in Francia, "computador" in Spagna; si noti che entrambe hanno una sillaba in più di "computer" (calcolatore, è vero, ne avrebbe due), eppure non sentono il bisogno di una parola più agile.

Io credo che sia solo un'impressione, dovuta forse all'eterno complesso d'inferiorità degli italiani, la suddetta superiorità dell'inglese; e ho anche il sospetto che l'accettazione passiva sia dovuta anche a una pigrizia incrollabile della nostra classe dirigente e intellettuale.
Potremmo adattare la parola al nostro sistema; cosa che già viene fatta per strada. A Roma càpita di sentir dire "compiutere", su youtube, in un video che mi è capitato di vedere tempo fa, un parcheggiatore napoletano diceva "compiuto". È ignoranza? certamente, ma è anche prova di una fedeltà al proprio sistema linguistico che gli italiani acculturati non hanno e che rifiutano ostentatamente; fedeltà che provoca, nella velocità del parlato, la mimetizzazione e appianamento delle diversità. Provate a vedere come si scrive "whyskey" in spagnolo (io non ve lo dico). Ma in questi paesi, la scelta e l'adattamento delle parole nuove, è veicolata da apposite istituzioni. In Italia anche, ci furono istituzioni simili, poste a protezione della lingua nazionale; durante il ventennio fascista. Ecco il problema della penisola. Non appena si propone di filtrare, di adattare, di ragionare sulle parole straniere da importare, salta fuori il fascismo. Ma è chiaro che non si vuole costringere la gente con cognome non italico a modificare la propria carta d'identità; nè si vuole censurare parole di cui ovviamente si ha necessità, fosse solo per l'invenzione di un oggetto nuovo a cui dare un significante. Anzi, io sono per l'adozione di più parole possibili, sogno una lingua ricchissima di sinonimi, ognuno con la sua sfumatura particolare; ma una lingua coerente nel suo sistema. L'italiano ha il pregio di essere quasi del tutto fedele, nello scritto, alla riproduzione dell'orale; le uniche parole che non finiscono con vocale in italiano sono particelle come per, con, il... Voglio dire, non c'è niente di male in "click", è in effetti efficace, onomatopeico e per questo internazionale. Ma siamo davvero sicuri che sia più comodo ed efficace dire "con il mouse clicco sul link del desktop" piuttosto che "sul legame della scrivania" (o qualcosa del genere)?

È anche questione di comprendere ciò di cui si parla. Per uno spagnolo AIDS si dice SIDA: Sindrome da Immuno Deficenza Acquisita. DNA é ADN. Chiamare le cose col proprio nome: il presidente si circonda di escort? suona meno scandaloso di prostitute. L'Italia è a rischio default? fa meno paura di fallimento. Le parole nostre, che appartengono a noi e alla nostra lingua, le possiamo capire in profondità, non hanno solo una superficie, ma una storia e una serie di sfumature che solo un madrelingua può cogliere fino in fondo. Una parola non è solo un'etichetta; ma se questa parola non ci comunica una sua storia, come ad esempio "ticket", è solo una superficie, e ci rende più superficiali nella comunicazione, che è poi il pensiero.

Ant.Mar.