venerdì 21 settembre 2012

ISLAMOFOBIA, ERDOGAN E "LINGUAGGIO DELL'ODIO"



A partire almeno dall’undici settembre in occidente si è diffusa una paura dell’islam che a volte sfiora il ridicolo, spesso entra nel tragico. Certo gli attentati terroristici sono una realtà, ma che rappresentino davvero un pericolo per l’occidente è tutto da dimostrare. Soprattutto i terroristi, i talebani, al qaeda, chiamateli come vi pare, hanno scarsissimo seguito nell’oriente musulmano; e quando ce l’hanno è perché sono l’unica forza che si oppone, con la violenza, alla violenza dello straniero colonizzatore (che saremmo noi). Ma quel che più conta è che questa paura, dall’America all’Europa è diffusa e creata ad arte, non solo contro gli islamici ma anche contro gli extracomunitari, gli omosessuali ecc.


Parliamo per quel che ci riguarda, l’Italia: da noi sopratutto, a parte gli Stati Uniti, questo odio sembra scientificamente provocato nella popolazione tramite il linguaggio delle classi politiche e dei media. C’è, di conseguenza, un vero problema di attitudini violente che comincia a diventare preoccupante, che comincia a serpeggiare in tutti gli strati della popolazione. Non è un segreto; prima il nemico erano i comunisti (paura che in Italia il Cavaliere ha trascinato al di là del ventesimo secolo, unico in occidente), oggi sono gli islamici: ed ecco Calderoli che si presenta in tv con una maglietta con delle vignette su Maometto che offendono i fedeli islamici; ecco Berlusconi dichiarare che è nostro dovere morale di civiltà superiore portare la democrazia a suon di bombe in Afghanistan e Iraq; Borghezio che con un maiale va a dissacrare il terreno su cui è in progetto una Moschea (senza rendersi conto che il maiale non gli serviva…); ecco la Santanché affermare, a proposito dei recenti fatti in Libia, che “l’islam è una religione assassina”, e tante altre belle cose. Ma il film presenta Maometto come un impostore che bestemmia e fa sesso; il regista è un californiano che si autoproclama “ebreo israeliano” che dichiara che “l’islam è un cancro” ed è finanziato da alcuni mecenati ebrei. Insomma, roba seria, che arriva dritta dal conflitto israelo-palestinese. Magari la reazione dei musulmani sarà stata esagerata; ma quelli che bombardano mezzo mondo (guarda caso solo la parte islamica), siamo noi. A conti fatti, e il film su Maometto lo dimostra, gli aggressori siamo noi occidentali.
il presidente della Turchia, Erdogan.

Il presidente turco Erdogan, infatti, ha dichiarato che sottoporrà il problema alla prossima Assemblea generale dell’Onu, il 25 settembre, ed ha dichiarato: “L’Occidente non riconosce l’islamofobia come crimine contro l’umanità, anzi la incoraggia”.

Questa paura, che diventa odio, la si vede innanzi tutto dal linguaggio e dai comportamenti comunicativi delle classi dirigenti, americane, europee, e, per quel che qui ci interessa di più, italiana: ci dicono e ci comunicano (ci fanno capire) che questi islamici sono un pericolo. Ovviamente Erdogan si rivolge a tutti gli stati dell’occidente, e ha ragione; noi restringiamo il campo all’Italia, il paese con la classe dirigente più ignorante e volgare dell’Europa moderna. Il linguaggio volgare, con cui i nostri politici sono molto a loro agio, è spesso un linguaggio di odio. E così le nostre televisioni traboccano di odio, di vera e propria propaganda. Solo una esagerazione?

Il 28 agosto 2012 a Ginevra Il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD) ha dedicato una sessione ai linguaggi dell’odio. Tra le altre, hanno consegnato un rapporto che ha fatto il punto sulla situazione 8 associazioni italiane, che hanno esposto un rapporto preoccupante e preoccupato per l’altissima diffusione di termini discriminanti nel discorso pubblico politico e mediatico. Una delle raccomandazioni del rapporto è quella di adottare un codice di condotta che sanzioni i partiti politici in caso di propaganda razzista e islamofobica.

Come si parla e si definisce l’Altro influenza la percezione che ne abbiamo come amico (innocuo) o nemico (pericoloso). Le parole sono importanti. Ci si è chiesti come fu possibile che in Ruanda un’ampia fetta della popolazione sia stata presa, in pochi mesi, da un raptus tanto violento contro un’altra fetta della popolazione fino a sfiorare il vero e proprio genocidio, per di più a colpi di macete, perché i proiettili costano. Una spiegazione fu data dal linguaggio: per mesi, forse anni, prima dello sterminio, un programma radio trasmetteva, in Ruanda, offese e incoraggiamenti a “disinfestare il paese” e “schiacciare gli scarafaggi”. Un bombardamento mediatico, un vero lavaggio del cervello, che rese più facile ad un venditore di banane, per dire, prendere il machete e uscire a uccidere uomini donne e bambini…

Ovviamente il discorso non è così semplice: in Ruanda fin dalla colonizzazione Belga gli Hutu e i Tutsi si massacrano a vicenda; il genocidio del '94 fu solo l’episodio più terribile. Chi vorrà fare ricerche scoprirà che alla radice di un secolo di massacri in Ruanda, ci sono ovviamente, responsabilità pesanti degli occidentali. Ma tutti questi precedenti formano la base di odio su cui, tramite l’uso irresponsabile del linguaggio, si può arrivare al massacro. La lingua che usiamo influenza e compone ciò che pensiamo, ci che facciamo e ciò che siamo. Insomma, per sdrammatizzare: bisogna leggere! Ma un elemento che fece traboccare il vaso fu la propaganda, lo stesso lavaggio del cervello che rende più facile, oggi, in Italia, a un ragazzotto di periferia, andare a picchiare un rumeno a caso perché il telegiornale parla solo di rumeni, o un frocio, un negro ecc.

Bisogna evidenziare il rapporto che c’è tra ciò che dicono ogni giorno certi politici in tv, da anni, e il fatto che le violenze a sfondo razziale siano cresciute in tutte le grandi città. È un fenomeno che in certa misura si ritrova in tutte le nazioni d’Europa, aiutato dalla crisi economica (proprio come prima della II Guerra), ma che in Italia ha avuto una legittimazione parlamentare, e cioè una crescita esponenziale forte. Le cause sono diverse: per quanto riguarda anche gli altri paesi, la nascita e il seguito che partiti di stampo nazionalista hanno avuto, è dovuta principalmente ad una presenza massiccia di extracomunitari, spesso di religione e cultura diversa (immaginate un turco a Berlino…), che per svariati motivi hanno difficoltà a integrarsi. Bisognerebbe però indagare su quanto le popolazioni e governi europei hanno voglia di integrare e accettare questi “diversi”.

Ma in Italia la presenza di stranieri non è neanche lontanamente paragonabile alla situazione di Germania e Inghilterra, o, per restare più vicini al mediterraneo, di Francia e Spagna. E allora perché questo odio smisurato verso questi che sono, tutto sommato, in nettissima minoranza nel nostro paese?

La tesi è che gli italiani hanno subìto, negli ultimi 20 o 30 anni, un cambiamento imposto dall’alto. Dopo la ricchezza e al consumismo sono stati costretti a intraprendere un percorso distruttivo verso l’impoverimento intellettuale, morale, linguistico. Siamo passati da De Sica padre a De Sica figlio, da Ladri di biciclette e Vacanze di natale. È un processo identificabile con il periodo Berlusconi, ma non del tutto: il cavaliere ha certamente un ruolo di “produttore” di volgarità, ma è anche un prodotto di questa, così come tutta la classe politica. Ma non lo fanno a caso: hanno consiglieri e consulenti che hannoo studiato, e molto.

Il linguaggio volgare è infatti, innanzi tutto, linguaggio di odio; e l’odio, che va a braccetto con la paura, è un potentissimo collante per le masse e un grande vortice risucchia voti. E questo vale per l’Italia, per l’Europa per l’America e anche per i paesi islamici. Tutto sta nel trovare un nemico. I comunisti, gli stranieri, gli infedeli o i terroristi.

L’attenzione alle parole può salvare vite, se chi pronuncia quelle giuste è un uomo di potere. Ma quando l’uomo, il paese, quando l’istituzione internazionale che ha potere usa deliberatamente un linguaggio di odio, la sola conclusione è che voglia che la situazione precipiti.

“Le parole sono importanti!!”.

Ant.Mar.

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