lunedì 16 dicembre 2013

Il provincialismo internazionale di chi vuole vietare l'italiano in Italia

Una petizione chiede al ministro dell'Istruzione di porre fine al progetto del Politecnico di Milano di usare soltanto l’inglese come lingua
Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su l’Arena di Verona

La petizione dice così: “Ministro, ritira la firma che vieta d’insegnare in italiano all’Università!”.
Il ministro è Maria Chiara Carrozza, l’Università è il Politecnico di Milano e la petizione è promossa dall’Associazione radicale per l’esperanto, che si batte da tempo e con sensibilità per valorizzare la lingua nazionale, sottoposta a ogni genere di mortificazione. La più grave delle quali è la pretesa, purtroppo in corso, di cancellare l’insegnamento in italiano nei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca presso il già citato Ateneo.
IL CASO DEL POLITECNICO
Dall’anno prossimo tutto e solamente in inglese, ha stabilito il Politecnico milanese. Come se la lingua millenaria di Dante fosse uno svantaggio per il futuro lavoro di architetti e ingegneri in Italia e nel mondo. Come se l’italiano non fosse “la lingua ufficiale dello Stato”, secondo quanto stabilisce una norma costituzionale. Come se l’Università pubblica non fosse pagata dagli italiani, che avranno pure il diritto inalienabile di trasmettere ai loro figli la lingua appresa dai loro padri anche al massimo livello di studi.
LA RABBIA DEI DOCENTI
Contro questo tentativo del Politecnico in nome di una malintesa “internazionalizzazione” che in nessun Paese d’Europa s’esprime con la rinuncia alla madrelingua nazionale a beneficio dell’inglese, un centinaio di docenti universitari ha promosso e vinto un ricorso al Tar della Lombardia, sette mesi fa.
INACCETTABILE IMPOVERIMENTO
Ma il Politecnico ha impugnato al Consiglio di Stato tale sentenza. Una sentenza, quella del Tar, che aveva bocciato con motivazioni durissime la decisione accademica non già – attenzione! – di aggiungere corsi e insegnamenti “anche” in inglese, ma di prevederli “al posto” di quelli in italiano. Non un arricchimento, ma un impoverimento. Non universalità, ma provincialismo. Così la lingua nazionale verrebbe cancellata in un alto ambito pubblico che, al contrario, dovrebbe ben conoscerne e riconoscerne il valore agli occhi del mondo.
RADICI DA PRESERVARE
L’argentino Papa Francesco s’è rivolto in italiano, lingua ufficiale della Chiesa, al miliardo e passa di credenti durante il tradizionale saluto “urbi et orbi” in mondovisione. La musica lirica “parla” italiano in ogni continente dov’è rappresentata e ascoltata. Nello sport più popolare del pianeta, il calcio, l’italiano è una delle lingue più diffuse grazie ai tanti stranieri che da anni frequentano la serie A, e ai tifosi d’ogni nazione che guardano le nostre partite in tv: chiedere conferma al nuovo presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. Proprio il Politecnico di Milano non può ignorare che, da Michelangelo in poi, l’architettura, l’arte e la scienza delle costruzioni siano intrise di storia e di lingua italiane al di là di ogni confine. Gli stranieri vengono qui a studiare il Rinascimento, e in italiano, of course.
LA PETIZIONE AL MINISTRO
Sorprende, allora, che a firmare il ricorso al Consiglio di Stato contro l’importante sentenza salva-italiano del Tar, sia il ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca in persona e pro tempore. Da qui la petizione dei radicali a Maria Chiara Carrozza di “ritirare la firma”. La questione è semplice: può un ministro che ha giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica italiana, e che rappresenta la cultura del nostro Paese e della sua insostituibile lingua italiana, non immaginare l’”effetto che fa” il suo gesto?
Intanto, il Consiglio di Stato ha negato la sospensiva che il Politecnico di Milano reclamava. Dover difendere l’uso dell’italiano in un’Università pubblica d’Italia: che insopportabile tristezza.

Fonte: formiche.net

domenica 15 dicembre 2013

LETTA AL TEMPO DEGLI OUT OUT.

Su Rai.tv troviamo un servizio intitolato "Letta: è finito il tempo degli OUT OUT". Si, scritto così, all'inglese. Un errore che non stupisce più di tanto, purtroppo, dato che il livello culturale bassino dei giornalisti italiani è ormai diventato un luogo comune. 

D'altronde, i giornalisti fanno parte, teoricamente, della classe colta di un paese: possiamo quindi solo immaginare il livello della classe non colta... e il discorso diventa più allarmante, ma non meno noto. Che gli italiani siano ignnoranti, lo si sa, e Tullio de Mauro è il primo a denunciarlo quasi quotidianamente. 

Però, voglio affrontare il discorso da un altro punto di vista. Non è tanto sull'ignoranza di quelli che non ci si aspetta che siano ignoranti, che voglio porre una domanda: vorrei tentare di andare più a monte. 

La domanda quindi è: perché al latino AUT AUT, si è sostituito l'inglese OUT OUT? ovvero: perché proprio questo tipo di errore? Come interpretarlo? io ho una mia teoria...

domenica 3 novembre 2013

Venezia si ribella alle calli in italiano




Modificati, tradotti, “italianizzati”: Venezia cambia i nomi di calli, campi, campielli che diventano a prova di dizionario della lingua italiana. E così i tradizionali “nizioleti” (”lenzuoletti”, a proposito di traduzioni), ossia i quadrati dipinti di bianco sui muri delle case veneziane su cui sono incisi i nomi che identificano calli e campi, sono stati tradotti dal veneziano all’italiano: ecco allora che “sotopòrtego” diventa “sottoportico”, “terà” diventa “terrà”, “parochia”, “parrocchia”. I nuovi nomi, in occasione del restauro dei nizioleti, sono stati voluti dall’assessore alla toponomastica, la filologa Tiziana Agostini. Non l’avesse mai fatto: c’è chi lo ha definito uno “scempio”, chi un “orrore”, ma soprattutto, c’è chi pensa sia uno schiaffo alla storia e alla tradizione toponomastica (oltre che linguistica) di Venezia, apprezzata in tutto il mondo oltre che per le sue bellezze e particolarità artistiche e naturali, anche per la sua storia, di cui il dialetto fino a prova contraria fa parte.  

Ed è bufera: il web si scatena, armato fino ai denti di indignazione per il dialetto calpestato. Gruppi su Facebook, come “il passato e il presente dei nizioleti” (quasi 800 membri) hanno acceso i riflettori sul cambiamento che ha interessato la toponomastica di Venezia. Non solo italianizzazione, ma anche perdita del significato: su tutti, basti l’esempio di “Rio terà degli Assassini”. La traduzione “Rio terrà degli Assassini” perde il suo significato originale, dove “terà” stava per “interrato” e non per la declinazione del verbo tenere, alla terza persona del futuro semplice, “terrà”.  

La polemica infuria tra le placide calli veneziane, ma l’assessore spiega la scelta, cercando di contenere la furia dei veneziani insorti: “Qui si confonde il folclore con il rigore scientifico. L’uso della doppia non è una ’italianizzazione’ - ha replicato -, ma un ritorno alle origini storiche dei nomi e frutto di un lungo lavoro di un’equipe specializzata del Comune, che ha avuto la consulenza scientifica dell’Universita’ di Ca’ Foscari, e che ha confrontato varie fonti storiche, anche precedenti a quelle da cui derivano i nomi sui ’nizioleti’’”.  

Per il restauro (anche dei nomi), l’assessore si sarebbe avvalsa dell’ultimo Catasto della Serenissima datato 1786, ma i veneziani doc non ne vogliono sapere: tale stradario, puntualizzano loro “sarebbe stato scritto in “lingua” (come si indicava allora, il toscano letterario); logico che chi lo redasse, cercò di “ingentilire” i nomi veneziani poiché gli pareva rendere più elegante lo scritto”, si legge in un post nell’agguerrito gruppo sul social network. L’assessore ha anche provato a intervenire personalmente nel gruppo Facebook, con un post in cui spiegava e giustificava la sua scelta. Ma niente da fare. È la battaglia è ancora aperta. Lo diceva, in fondo, il proverbio: tradurre, è tradire... 

Fonte LaStampa.it

mercoledì 16 ottobre 2013

BIOCIDIO: UN NUOVO SIGNIFICATO?



Chiaiano, Pianura, Terzigno, Giugliano, Terra dei fuochi. E ancora Bagnoli, Napoli est, Acerra, basso casertano e Terra di lavoro. In Campania la lista delle terre devastate dal disastro ambientale è lunga, ormai definita in una sola parola: Biocidio. Questo termine fu utilizzato, pare, per la prima volta in questo ambito preciso, da un attivista dei comitati anti-discarica ad Afragola, uno dei comuni dell’area nord di Napoli e cuore della Terra dei fuochi.

Questo articolo non tratta dei motivi della protesta, di quante e quali persone siano da considerarsi responsabili del martirio del suolo più fecondo e più bello d’Italia, a quanto ammonti, ad oggi, il numero delle vittime. Non ne ho la competenza, e, francamente, neanche la forza. La colpa è di tutti, le vittime siamo tutti. 

Questo giornaletto tratta della lingua italiana, e quindi, qui, parliamo della parola stessa: “biocidio”. 

Le proteste (sacrosante) che si stanno svolgendo in queste ore – in verità da anni e con sempre maggior forza – in Campania, avanzano al grido, persino col cancelletto di Twitter per dare maggior risonanza, "#stopbiocidio". Non essendo propriamente un tecnico, sulle prime ho pensato che biocidio fosse una parola nuova, mediatica, e anche piuttosto ben trovata. Cosa significhi etimologicamente credo sia chiaro per chiunque: uccisione della vita.

Una breve ricerca mi rivela invece che "biocidio" è una parola tecnica e significa "strage di animali" (cfr. dizionario Hoepli). Mi sorge allora un dubbio: si protesta per i tumori agli umani, per quelli delle pecore e altri animali d'allevamento che stanno morendo come mosche, o per entrambi? 

Direi per entrambi, soprattutto per la popolazione umana, ma sostanzialmente in nome di tutta la vita, flora e fauna: si potrebbe allora considerare questo uso di “biocidio” come un nuovo significato della parola tecnica, che si è "allargata" nel momento stesso in cui è divenuta, molto recentemente, parola comune?

purtroppo divenuta comune.  

Ant.Mar.

martedì 15 ottobre 2013

XIII SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO: UN SUCCESSO.



LA SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO: Nata nel 2001 da una felice intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e l’Accademia della Crusca, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il contributo delle Ambasciate della Confederazione svizzera, la Settimana della Lingua Italiana nel mondo si è sviluppata nel corso degli anni orientando su un tema specifico, definito di anno in anno, le forze di Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Cultura. Un evento che ogni anno coinvolge oltre 700mila studenti stranieri in diversi Paesi.

Quest’anno, dal 14 al 24 ottobre - con relativa libertà da paese a paese - si svolge la tredicesima edizione, dal tema “Ricerca, scoperta, innovazione: l’Italia dei saperi”. Novantaquattro i Paesi che aderiscono al progetto, per un totale di 1.200 eventi in tutto il mondo, e in ognuna delle sedi estere si sviluppa la tematica dell’anno in modo diverso e originale, dimostrando così le grandi potenzialità della nostra rete che può produrre risultati di grande impatto e di elevato livello qualitativo.

PERCHÉ: Sembra inutile specificare quale sia l’utilità di una tale manifestazione, ma forse non è evidente per tutti, specie in un paese dove sempre di più si tende a considerare il proprio patrimonio linguistico come un peso che ci impedisce di parlare lingue percepite come più utili e importanti come l’inglese, al punto che in inglese si comincia ad insegnare nelle università italiane. 

Ma, oltre ai motivi economici politici e militari per cui l’inglese è oggi la lingua più studiata al mondo, c’è anche, appunto, l’importanza che gli anglosassoni danno alla promozione e produzione culturale della loro lingua nel mondo. Insomma: l’importanza prima della Settimana della lingua italiana nel mondo è proprio la diffusione della nostra cultura, che attraverso la lingua veicola un’immagine positiva dell’Italia, con possibili e probabili ricadute economiche e politiche positive. Perché un paese percepito come culturalmente fecondo e prestigioso, e l’Italia lo è, è anche un paese politicamente forte. Certo non basta: per la forza politica serve innanzitutto la forza economica, che la nostra classe dirigente sembra voler distruggere volontariamente, spesso con l’aiuto dell’U.E. 

Proprio per questo la diffusione e la promozione della nostra cultura all’estero attira potenzialmente turisti, ma anche, e questo conta di più, lavoratori stranieri, magari attirati dallo stile di vita, dal clima, dal cibo, dalla bellezza insuperabile delle nostre città. Lavoratori che, ingenui, pensano di dover imparare l’italiano, mentre noi, in Italia, pensiamo di doverlo dimenticare, mentre aumentano sempre di più le iniziative in patria che guardano all’inglese a scapito della lingua italiana. Ma questo è un altro discorso: cerchiamo di guardare agli aspetti positivi: la lingua italiana nel mondo piace, e la domanda di insegnanti è in continua crescita. Grazie all’attività dell’Accademia della Crusca e soprattutto della società Dante Alighieri. 

ALCUNI EVENTI: Di seguito, alcuni eventi, con relativi collegamenti ai siti ufficiali, organizzati in paesi europei e non, dalla vicina Slovacchia alla lontana Cina. Questo elenco, tutt’altro che esaustivo (anche perché gli eventi sono talmente tanti che sarebbe impossibile elencari tutti), ha il solo scopo di dimostrare quanto la lingua e la cultura italiana abbiano ancora qualcosa da dire al mondo.
 
In Slovacchia, tra Bratislava, Banska Bystrica, Ruzomberok e Nitra, tanto per cominciare, due giornate “a porte aperte” presso l’Istituto di Cultura, lunedì 14 e giovedì 17 ottobre, incorniciano tutta una serie di eventi tra cui lezioni di lingua italiana a più livelli. Per il programma, clicca qui

Sofia il 14 ottobre alle ore 18:00, nella Sala 4 del Palazzo Nazionale della Cultura (NDK), nella cornice della mostra 'Omaggio a Verdi', si terrà la conferenza del giornalista e musicologo Bruno Bertucci sul tema 'Verdi: scoperta e innovazione nel melodramma italiano nell'ottocento', preparata in occasione del 200° anniversario dalla nascita del compositore, e inserita tra i numerosi eventi programmati per la XIII settimana della lingua italiana nel mondo, che si possono vedere qui 
 
Dal 14 al 21 ottobre si svolgeranno a Barcellona numerosi eventi organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura nell’ambito della tredicesima edizione della Settimana della Lingua italiana nel mondo. Clicca qui. Mentre per il programma di Madrid, che non vuole certo essere da meno di Barcellona, clicca qui.

In Francia, pur col loro supposto nazionalismo linguistico, non sono mica scemi: a Nizza il consolato organizza spettacoli teatrali e alltri eventi, come potete vedere qui, per quanto riguarda Marsiglia lo vedete qui, e Parigi, ovviamente, organizza le cose in grande, anzi grandeur, come potete vedere qui

In Russia, dove - come raccontano le due insegnati ideatrici del progetto, Krassova e Dorofeeva, in un’intervista rilasciata a La Voce della Russia - “la richiesta di studiare la lingua italiana da parte degli studenti cresce di anno in anno. È per questo che in alcune università è stata introdotta come terza lingua tra le materie di studio”, si registrano eventi a San Pietroburgo (cliccare qui.) e a Mosca (cliccare qui.).

Negli Stati Uniti l'iscrizione ai corsi d'italiano – che Thomas Mann definì “la lingua degli angeli” – aumenta del 15-20% all'anno, e a Houston, di certo “non abbiamo un problema” (qui il programma). A Boston è invece l’ambasciata svizzera a promuovere la proiezione di film in lingua italiana (clicca qui). E poi a Washington, New York, Los Angeles ecc ecc. Vi lascio ricercare tra i tanti stati del Nordamerica.

L’Istituto italiano di cultura di Pechino, infine, aderisce alla giornata nazionale delle biblioteche “BiblioPride” 2013. Le iniziative, in programma mercoledì 16 ottobre alle 18 presso il teatro dell’Istituto, sono state inserite nell'ambito della Giornata della Lingua con l’obiettivo di collegare la valorizzazione della lingua italiana alla lettura e di stimolare, anche nei giovanissimi, la consapevolezza della traduzione come strumento necessario ad ampliare l'orizzonte della conoscenza. (ce lo dice il sito di informazione, a pagamento, 9colonne.it)

Eccetera Eccetera Eccetera…

Ant.Mar.

martedì 8 ottobre 2013

Perché amiamo i gesti caldi e spontanei della lingua italiana

Strano rapporto quello tra l’usuale e la grande etica; un esempio si impone pensando al nostro quotidiano, alla nostra italianità e ad un suo tratto così familiare che non lo vediamo nemmeno; gli stranieri sì. Guardatevi intorno: l’italiano sta morendo. No, non mi riferisco ad un “senso patriottico”, ma alla lingua italiana... ma non alla grammatica o alla sintassi ma a qualcosa di cui non ci rendiamo conto e che ci fa davvero italiani. Ma cosa c’è di più italiano nella lingua italiana che la lingua italiana stessa?

Se ci pensate bene qualcosa c’è. Ma cosa? Il suono più o meno nasale? Il dialetto? Certo anche questo e ci rende tristi il fatto che i dialetti ormai siano sorvegliati speciali spianati e spappolati dall’omologazione dell’italiano ufficiale che ora oltretutto soffre di senso di colpa rispetto alla sovra lingua internazionale di importazione d’oltremanica. Cosa c’è di più italiano ancora?

Forse non lo sapete, perché vi viene naturale, ma all’estero quando si studia la lingua italiana si studia anche qualcosa che “è lingua ma non è lingua”, qualcosa che non è linguaggio ma senza cui il linguaggio italiano sembra fasullo, senza cui smascherate lo straniero che anche parla bene la lingua dello Stivale. Sono i gesti. E’ bene ricordarlo perché la cultura italiana all’estero è ricercata ed amata anche per la fisicità, per i gesti, per gli abbracci calorosi… non solo per Prada, per i tortellini e Donatello, ma perché la nostra è una cultura che assorbe la persona in un contatto fisico totale (abbracci e baci da noi sono la norma, così come la stretta di mano, che all’estero va scomparendo), in una sorta di Jacuzzi “de noantri”, di Spa quotidiana che a differenza delle Spa non è fatta di oli e di pietre calde, ma di calde parole e caldi abbracci.

Si celebra in questi giorni in Argentina la settimana della cultura italiana e nel principato di Monaco il mese della cultura italiana e queste cose non appaiono forse nel programma, ma fanno da sfondo essenziale e indispensabile: senza, non c’è Italia.

All’estero si imparano i gesti italiani per imparare l’italiano e se andate su youtube trovate tantissimi tutorial che insegnano i versi con le mani che a noi sono propri ma che all’estero necessitano di un corso speciale per impararli. Abbiamo una cultura per la quale il 40% di quello che esprimiamo lo esprimiamo con le mani. Difficile da descrivere a parole, il vocabolario dei gesti lo usiamo anche quando parliamo al telefonino e nessuno ci vede, ma serve a noi e basta per dare forza e espressione alle parole. Come se ci vedessero.

Quando dite a qualcuno che è matto, battete con l’indice sulla tempia, quando chiedete a uno cosa vuole unite pollice, indice e medio di una mano e fate due rapide scosse verso la faccia, quando dite a uno di rimandare, fate due-tre stretti cerchi in avanti con la mano.

Tutto questo sta sparendo, ed è un patrimonio culturale importantissimo, una ricchezza, un linguaggio che va morendo. Segno di un desiderio di contatto e di assenza di paura degli altri (Sartre invece scriveva: “Cosa sono le mie mani? La distanza infinita che mi separa dagli altri”) che scompare. In ossequio alla globalizzazione. Già, la globalizzazione che appiana le differenze, che crea il meta-pensiero universale per cui non devono esistere culture e religioni ma tutto una purea di buonismo, che crea la meta-economia e la meta-cultura universale dove non compaiono più differenze e che crea, infine, la meta-religione del denaro e dell’utilitarismo che ormai beviamo in ogni giornale e ogni TV.

E’ l’omologazione che ci spaventa, l’omologazione che vorrebbe creare un’etica unica fatta in base al relativismo etico e alla cultura dello scarto, del consumo, dell’inutilità fatta legge contro cui mette in guardia il Papa. Viva allora il linguaggio italianissimo delle mani, segnale di vitalità e di superiorità al vile linguaggio scritto o a quello insegnato pedissequamente nelle scuole; linguaggio delle mani democraticissimo che sanno “parlare” gli operai e che solo gli snob esterofili cercano di nascondere come si nasconde un difetto, come qualcuno dalla scarsa forza d’animo nasconde un neo malizioso che lo imbarazza e che è il grazioso marchio di famiglia che anche il padre e il nonno avevano ma che ora, nel mondo dei “senza difetti” nessuno accetta più.
 
Fonte: L'Occidentale

martedì 1 ottobre 2013

VIDEO - Luca Serianni presenta: "Lo stato attuale della lingua italiana"

Se il 28 settembre 2013 foste passati in piazza Sant’Agostino, nella ridente città di Andria, dove si trova la Biblioteca Comunale G. Ceci, avreste potuto assistere alla presentazione del noto linguista e filologo Luca Serianni sul suo ultimo libro, intitolato: Lo stato attuale della lingua italiana: leggere, scrivere, argomentare. Per fortuna, grazie a Youtube, potrete assistere lo stesso.

Inglese lingua più conosciuta, italiani i peggiori in UE

BRUXELLES - L'inglese è la lingua straniera più conosciuta in Europa, e gli italiani sono quelli che lo parlano peggio. E' quanto emerge dai dati Eurostat del 2011, diffusi in occasione della Giornata europea delle lingue. Nei paesi Ue gli idiomi più studiati, oltre all'inglese, sono il francese, il tedesco e lo spagnolo. Solo a Malta l'italiano risulta essere il secondo più studiato. La parlata di Shakespeare è nei programmi scolastici dell'83% delle scuole primarie e secondarie inferiori europee e nel 94% di quelle superiori, seguita con un netto distacco da quella di Molière, rispettivamente al 19% e 23%, da quella di Goethe (9% e 21%) e infine da quella di Cervantes (6% e 18%).

lunedì 30 settembre 2013

VIGILI ITALIANI, MA RICETRASMITTENTI INGLESI...



LA PADRONANZA LINGUISTICA DEI ‘PIZZARDONI’: Cominciamo col chiarire per i non romani, che “pizzardoni” a Roma sono i Vigili Urbani. Per saperlo, bisogna essere romani. Ma non c’è bisogno di essere cittadini della capitale per sapere che, i vigili, e in generale i pubblici ufficiali, non sono ferratissimi in quanto a conoscenza della lingua italiana. Né c’è bisogno di essere un turista per immaginare quale sia il livello medio di lingua inglese presso i Vigili. 

Se nel secondo caso, la lingua straniera, sarebbe doveroso che ne conoscano un pochino – quanto basta per indicare ai sudati tedeschi la direzione per il Colosseo – per il primo appunto, è quantomeno preoccupante che non siano in grado almeno di differenziare parlata romana e italiano standard. Ma non siamo qui per tirare le orecchie ai poveri vigili urbani: in fondo, non gli si chiede, né si potrebbe, di essere dei petrarchisti o dei leopardiani, anche se sarebbe bello che sapessero il significato delle parole che usano nei verbali, se non altro per combattere e sconfiggere il “burocratese”. Ma non è di questo che parliamo oggi.

Oggi parliamo di un ennesimo insulto alla lingua italiana. Cos’è successo?

LE RICETRASMITTENTI, BABY: è successo che il corpo dei vigili urbani di Roma ha ricevuto 500
ricetrasmittenti nuove in via sperimentale. Bene! Mezzi all’avanguardia per combattere i vandali del traffico, che a Roma non mancano. Già: ma talmente all’avanguardia, che non esiste la versione in lingua italiana.
 
"Alcuni comandi dei vigili urbani di Roma hanno ricevuto, in via sperimentale, le prime 500 ricetrasmittenti, ma i menù e i sottomenù del sistema operativo sono solo in lingua inglese". Segnala il sindacato O.s.po.l. (Organizzazione Sindacale Polizie Locali)  che in una nota spiega che il nuovo sistema, chiamato Dedra, "mette in difficoltà gli operatori" dato che non è possibile "opporre [sic!] alcuna modifica" alla lingua.

Quindi, non gli si chiede di essere dei filologi italianisti, e ci mancherebbe altro; ma gli si chiede di conoscere e operare in inglese. Infatti, a sentire il presidente dell'Ospol, Luigi Marucci la vergogna non sta tanto nel fatto che siamo in Italia, e che sarebbe utile e intelligente, per usare un eufemismo, che la nostra già disastrata consuetudine burocratica sia in italiano (che è altra cosa dal burocratese), ma che le ricetrasmittenti inglesi non siano state precedute da un corso di inglese. 

"Il dramma - spiega - è che il Campidoglio non ha previsto un corso di lettura in inglese pertanto ai vigili urbani l'Amministrazione comunale dovrebbe almeno fornire un traduttore istantaneo dall'inglese all'italiano e viceversa".

IMPARATE L’INGLESE ALLORA! Già: almeno dateci un traduttore automatico! Sappiamo bene qual è l’efficacia effettiva dei traduttori automatici: usarne uno creerebbe ancora più confusione. Se poi in mezzo alle due lingue ci metti anche il problema enorme rappresentato dal burocratese, viene da ridere… per non piangere.

"L'Ospol invita il Campidoglio a rivedere l'appalto della fornitura, specialmente per quelle radio in fase di consegna, ed intervenire celermente presso la casa fornitrice - conclude la nota - onde obbligarla ad apportare tutte le necessarie modifiche affinché tutti i menù delle nuove Radio siano scritti in lingua italiana. Altrimenti il Campidoglio dovrebbe istituire un Master in lingua inglese appositamente per tutti i 6.000 Vigili di Roma Capitale".

Le soluzioni suggerite quindi sono due: o fare in modo che in Italia, un vigile italiano comunichi in italiano con altri italiani usando dei programmi in lingua italiana – insomma che si parli la lingua della gente, ufficiali o civili che siano - oppure, altra soluzione, che imparino l’inglese, questi ignorantoni! E quindi dopo i vigili, dovrebbero impararlo anche i civili, visto che sono loro che hanno a che fare coi vigili… 

Ant.Mar.