domenica 20 gennaio 2013

CULTURA ITALIANA? MEGLIO IN INGLESE!



Federiga Bindi, Direttrice dell'IIC a Bruxelles

“La mia missione è promuovere la nostra cultura presso gli stranieri, non siamo il dopolavoro degli italiani, e il giorno in cui in questa sala non ci saranno italiani per me sarà una vittoria”.

Così risponde Federiga Bindi, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles alle obiezioni di chi lamentava che durante la presentazione del film “Girlfriend in a coma”, il 18 gennaio 2013, si parlasse in inglese fra italiani.

Ha ragione: gli istituti di cultura italiana all’estero non mirano a intrattenere gli italiani emigrati, come invece facevano i “dopolavoro” e le “case d’Italia” al tempo del fascismo; quando l’intento era non solo attirare e ‘fascistizzare’ le masse di emigrati, ma anche, e soprattutto, da farli restare italiani, con programmi mirati soprattutto per i bambini nati all’estero.

Oggi, non è più questo l’intento, per fortuna. Oggi, ciò che gli istituti di cultura italiana si propongono è, come giustamente afferma la Bindi, la promozione della nostra cultura presso gli stranieri, presso coloro che con l’Italia non hanno niente a che fare; presso quei pochi che si interessano alla nostra immensa cultura e tradizione. Proprio per questo una delle attività più importanti degli istituti di cultura è l’insegnamento della lingua italiana come lingua straniera.

Dunque, non dev’essere stata una bella giornata per la direttrice dell’istituto di cultura italiana a Bruxelles, visto che la stragrande maggioranza dei presenti era di nazionalità italiana, cosa che ha portato al paradosso di vedere italiani, in una città francofona, parlare inglese tra di loro. Il trionfo del cosmopolitismo! Ma la missione, dal punto di vista della Bindi, è tutt’altro che compiuta: l’istituto da lei diretto non attira gli stranieri.

Pertanto è lecito chiedersi: dove ha sbagliato Federiga Bindi, che voleva attirare gli stranieri e si è ritrovata circondata da connazionali? 

C’è da dire che secondo molti degli italiani che partecipano alle iniziative dell’istituto italiano di cultura, la Bindi è la direttrice che ha meglio saputo organizzare e promuovere mostre ed eventi, senza, ovviamente, avere delle risorse superiori ai precedenti; anzi probabilmente inferiori. E nessuno le toglierà questo merito. Ma a parte la scarsità di risorse, a cui pare che la Direttrice faccia fronte alla grande, cos’è che tiene ancora lontani gli stranieri interessati alla nostra cultura?

Innanzi tutto – e questo è un dato di fatto che la Bindi sembra ignorare – la stragrandissima maggioranza di coloro che studiano la lingua e la cultura italiana non essendo di nazionalità italiana, sono comunque discendenti di terza, quarta, quinta generazione di emigrati italiani. È genteche vuole riscoprire le proprie radici. Insomma, la nostra lingua non è una “lingua di lavoro”, come l’inglese e il francese; chi la studia lo fa, nel 99% dei casi, per puro interesse personale.

Ma soprattutto ciò che la Bindi non riesce o non vuole capire, è che gli stranieri interessati alla cultura italiana, sono interessati alla cultura italiana. Proviamo a capovolgere la situazione: se andassi all’istituto di cultura inglese a Roma, vorrei fare un’immersione nella cultura inglese, giusto? Libri, film, dibattiti in inglese. È questo che, da straniero all’estero, cerco in un istituto di cultura. È questo che i Belgi, francesi, olandesi ecc cercano in un istituto di cultura italiana: libri, film, dibattiti in italiano.

Locandina del film proiettato all'IIC di Bruxelles
Come si può pensare di distaccare la lingua dalla cultura? La lingua è la cultura: e questo è vero in particolar modo in Italia. Proprio perché si proiettano film inglesi in inglese e si fanno dibattiti in inglese, a mio modesto parere, l’Istituto non attira pubblico straniero. Uno che non è interessato alla cultura italiana, non verrà all’evento neanche se si parla inglese. Se si parla inglese, uno straniero interessato alla cultura italiana, che ce viene a fa’?


E non esisterà mai proprio perché noi stessi italiani percepiamo la nostra lingua e la nostra identità immancabilmente come “perdente” di fronte alle altre lingue. Ma non è in fondo neanche una questione linguistica, è il potere economico, militare e culturale a far diventare una lingua "prestigiosa": la lingua italiana perde di prestigio di pari passo con il paese Italia. Non è la lingua a salvarci, ma una forte politica culturale, una forte cultura che si sappia rinnovare. Solo dopo viene la lingua e il suo prestigio; solo perché l’America è l’America oggi si parla inglese nel mondo; con le caratteristiche della lingua, con la linguistica, questo c’entra poco e niente.

Finché, insomma, non capiremo che è la nostra storia, è la nostra cultura a darci prestigio e potere nel mondo, non potremo che continuare ad affondare come nazione e come popolo, come facciamo ininterrottamente dal dopoguerra a oggi.

Quando in quella sala dell’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles non ci saranno più italiani, come si augura Federiga Bindi, quella sala sarà vuota. E sarà vuota probabilmente anche l’Italia, svuotata di se stessa.

Ant.Mar.

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