lunedì 18 marzo 2013

COME CURARE L'ORA D'ITALIANO (SERIANNI)

prof. Luca Serianni, autore de "L'ora d'italiano"
La versione di latino

Da anni l’insegnamento del latino è oggetto di interminabili e spesso stucchevoli diatribe, zeppe di visioni stereotipe, per quanto l’oggetto stesso sia difficilmente tacciabile di irrisorietà. Il latino a scuola, di solito, è messo dai suoi detrattori sul banco degli imputati in modo improprio; ma spesso, d’altro canto, viene difeso dai suoi sostenitori con argomenti deboli, scentrati. Serianni, dopo aver analizzato lucidamente i pro e i contro, riconosce, per alcuni tipi di istituti superiori, le ragioni dello studio della lingua e della cultura latina, che, per il suo significato storico, sono da considerare «una componente importante del cittadino europeo occidentale che si voglia considerare cólto» (p. 28).

Il problema vero è: che cosa deve significare, oggi, l’insegnamento del latino in un liceo classico, scientifico, linguistico? Certo non quello che ancora oggi, per inerzia tradizionalistica, significa: una materia il cui punto di arrivo è considerata la versione scritta, destoricizzata e decontestualizzata; i suoi fondamenti stanno in un grammaticalismo oltranzista, che immagina il latino come una lingua viva, da apprendere nelle sue minute leggi di funzionamento. Invece, dice Serianni, «vorrei una scuola che desse più importanza al rapporto tra lingua e cultura (non necessariamente limitandosi alle testimonianza antiche e suggerendo almeno l’idea del molto di latino antico che vive ancora in noi); e meno importanza, per esempio, alla legge di Ruesch, che ho trovato esposta e debitamente indicizzata in un manuale per le scuole: omaggio alla consecutio – o meglio a quella dell’età aurea – forse vista come il centro propulsore della sintassi latina e, chissà, dell’intelletto umano» (p. 36).

Postilla: meno latino aureo e meno resoconti bellici, più latino con agganci all’italiano (per esempio attraverso la semantica del latino cristiano), più autori che raccontano la vita, gli usi, i costumi quotidiani dei nostri antenati, tanto vivaci e avvicinabili e insieme tanto esotici e culturalmente stimolanti per la sensibilità di un giovane. Di fatto, «il brano di versione […] dovrebbe avvicinarsi al brano antologico previsto come lettura orale» (p. 34).

Il tema d’italiano

Serianni nega che l’esercizio fondamentale per imparare a scrivere sia il canonico “tema”, perpetuato oggi come “traccia” da svolgere. Prima di tutto perché “saper scrivere” non è riducibile al dominio dei tradizionali livelli di competenza linguistica, dall’ortografia alla sintassi. Saper scrivere significa anche saper strutturare in modo adeguato, coeso e soprattutto coerente, l’argomentazione. Il tema non sembra adatto a perseguire questo obiettivo. Specialmente, dice Serianni, se all’insegnante e allo studente (a un livello più basso, è chiaro) si chiede di fare il tuttologo, come accade quando vengono impartite tracce su temi di cosiddetta “attualità”. Come potrà un quindicenne parlare in modo competente dell’inquinamento e del surriscaldamento globale del clima? E «qual è la preparazione che un insegnante può vantare su temi del genere? Quella, si suppone, di una qualsiasi persona cólta che legga abitualmente i giornali. Forse però non basta […]» (p. 38).

Mentre esistono «test fattoriali o discreti» che mirano a «testare e affinare singole competenze» (pp. 48-50), un’«eccellente pratica» che «dovrebbe essere abituale per i ragazzi dai 12 ai 17 anni» (pp. 50-51) è quella rappresentata dal riassunto, «pratica salutare, in quanto misura la capacità di capire un testo dato, di coglierne la salienza informativa, di renderlo in forma linguisticamente efficace. Oltre a questo, l’abitudine a riassumere combatte la tendenza degli studenti ad allungare il brodo» (p. 40). Leggere e capire ciò che è scritto in un testo, cogliere i nuclei informativi principali, metterli in rilievo subordinandovi le altre informazioni di corredo: la pratica del riassunto implica un severo e fruttuoso esercizio di messa in opera di molteplici abilità finalizzate alla strutturazione del pensiero e dell’argomentazione.

Quando si arriverà alla prova scritta per l’esame di Stato, bisognerà comunque che le prove assegnate siano «specifiche e realistiche» (p. 60), affinché il maturando non sia sommerso da una eccessiva «succulenta ricchezza di ingredienti» (p. 57) che potrebbe metterlo in difficoltà (pp. 55-60). Come sempre, i medici facciano bene il loro mestiere: meglio prevenire che curare.

Leggi tutto l’articolo di Silverio Novelli su Treccani

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