sabato 16 marzo 2013

LINGUA ITALIANA: PAROLE INGLESI AUMENTATE DEL 343% IN UN ANNO!



L’ITANGLESE: Le parole inglesi importate nella lingua italiana senza essere adattate, o adattate molto approssimativamente, come sappiamo sono moltissime, tanto che il fenomeno è stato battezzato “itanglese” o "itangliano", come se si trattasse di una nuova lingua, diversa dall’italiano. Questo è uno dei motivi principali che mi hanno spinto a creare In Sua Favella. Basti pensare che sul totale della parole di origine inglese nella nostra lingua, circa il 70% sono entrate nell’uso solo nel ventesimo secolo, e questa tendenza diventa sempre più forte, sempre più, lasciatemelo dire, colonizzante. Se per molti, troppi, italiani questo non rappresenta un problema, o rappresenta un problema relativo, sarà utile rispondere con dei dati precisi; quelli dell’agenzia di traduzioni Agostini Associati.

Per il terzo anno consecutivo, infatti, la Agostini Associati ha condotto la sua indagine sull’Itanglese nelle aziende operanti in Italia. La nuova rilevazione, condotta su una base di documenti tradotti dall’italiano verso altre lingue nell’anno 2011 contro una base equivalente del 2010, porta alla luce dati che vanno al di là della peggiore delle ipotesi. Gli anglicismi nella nostra lingua, in un solo anno, sono cresciuti del 343%. Per essere chiari: è cresciuta di tanto la frequenza con cui sono utilizzati; oltre al fatto, secondario, che molte di queste parole sono nuovissime, appena appena entrate nel lessico. I primi dieci termini inglesi più utilizzati in azienda sono stati, in ordine decrescente: Spread, Smart, Like, Social, Tablet, Business, Default, Brand, Screenshot, Device.


Tra i termini preferiti quest’anno – afferma Ale Agostini, socio dell’agenzia di traduzioni Agostini Associati – si conferma per il terzo anno la crescita di parole associate alle nuove tecnologie informatiche (6 delle prime 10), con la novità di parole associate ai fenomeni globali dell’economia (2 delle prime 10, tra cui non poteva mancare il fatidico spread) che hanno ampio risalto sui mezzi di comunicazione. Interessante rilevare che a ridosso delle prime 10 posizioni, abbiamo rilevato parole ibride derivanti da radice anglosassone che sono state riadattate in Itanglese, quali Sharare, Taggare, Forwardare, Performare, Splittare, Schedulare ecc. (mi fermo qui per non fare rivoltare nella tomba Dante e Oscar Wilde). Questa tendenza è legata a nuove “azioni digitali” associate all’uso di strumenti informatici a sfondo sociale quali Facebook, Twitter e Google+. Da un punto di vista linguistico, mi domando se l’importazione diretta di termini inglesi (esempio classico Tablet) sia da preferire o meno rispetto ad un ri-adattamento in stile “Itanglese “ (esempio sherare, taggare ecc.) o se dovremmo fare come i francesi che traducono tutto e proibiscono per legge l’uso indiscriminato di anglicismi. Forse ha ragione chi sostiene che il futuro della nostra lingua è l’Itanglese.

NB: la stessa Agostini, azienda, preferisce l'inglese.
L’INFEDELTÀ LINGUISTICA DEGLI ITALIANI: Guardando la classifica e l’insieme dei dati – continua Agostini – sembra che quando sono in azienda, gli italiani dimenticano la loro lingua e importano termini inglesi senza tradurli. A mio parere questa importazione selvaggia è anche una scelta di convenienza che permette di risparmiare tempo senza dovere pensare ad una possibile traduzione/parola corrispondente in italiano. Agostini continua: “La cosa divertente – io direi tragica – è che alcuni traduttori automatici sembrano amare ed usare l’italiano più degli italiani stessi: se ad esempio vado su Google traduttore e chiedo di tradurre in italiano la frase “my tablet is a smart device”, Google traduce tutto senza Itanglese”: la mia tavoletta è un dispositivo intelligente. Vi invito ad andare a verificare, e a provare altre combinazioni.

È un concetto che abbiamo cercato di affrontare tempo fa: gli italiani, di fatto, sono profondamente infedeli alla propria lingua. I motivi sono vari, ed è difficile descriverli bene tutti. Innanzi tutto, io credo, è importante riflettere sul fatto che siamo un paese con un’unica lingua da relativamente poco, il che non ci fa sentire, non ancora – ma forse ormai è tardi – la nostra lingua come nostra, visceralmente nostra. Siamo in un periodo della nostra storia linguistica abbastanza delicato: non ancora del tutto italiani, non più davvero dialettali: questo ci rende, a mio avviso, particolarmente vulnerabili all’invasione. Ma attenzione: non è una questione di purismo, bensì di libertà e precisione del pensiero. È una questione di capacità di comunicazione, che non sia solo un superficiale “etichettare” con nomi le cose; ma un legare dei concetti a delle parole stratificate nella storia e nel significato; sfumature che solo un madrelingua può cogliere davvero. Esprimersi in lingua straniera è come guardare un film in bianco e nero, con scarsa risoluzione; la lingua madre invece è un film con una fotografia netta, precisa… in 3d.

Inoltre, diciamocelo, siamo davvero pigri, oltre che infedeli, se troviamo che sherare sia più comodo di condividere: non mi pare che la traduzione richieda un grande sforzo, eppure dev’essere così per molti italiani. Se a questo aggiungi il fatto che l’inglese è oggi la lingua di prestigio per antonomasia– cioè potente: veicolata dall’impero dominante – il problema è ben visibile.

Ma questo, e altri motivi che sorvoliamo, sono adatti a giustificare il fenomeno fino a un certo punto. La domanda da porsi, secondo me è: quanti italiani conoscono l’inglese? Risposta: pochissimi, anzi, meno (cfr articolo). Come si spiega allora che un popolo che non conosce la lingua, utilizzi in continuazione e con l’andazzo preoccupante che abbiamo visto, parole di quella lingua che gli è sconosciuta? Bisogna puntare il dito, allora, contro quelli che quella lingua la conoscono: la classe colta. Infatti, dati alla mano – ma anche senza dati è evidente – sono le televisioni e i giornali a veicolare, senza motivo, queste parole. La colpa è di chi ha studiato, che usa l’inglese come Don Abbondio usava il latinorum per non far capire nulla a Renzo. La colpa è di chi snobba la propria lingua in virtù di un erroneo internazionalismo; il macellaro sotto casa, parlo per esperienza diretta, dice “compiùtere”; è ignoranza? Di sicuro, ma è anche, secodo me, fedeltà al proprio sistema linguistico, che accetta con molte difficoltà parole che finiscono con una consonante. Diciamolo ancora: la colpa è di chi ha studiato, di chi scrive sui giornali.

QUANTO È GRAVE LA SITUAZIONE: è davvero così grave il tasso d’ingerenza dell’inglese nella stampa nostrana? Se l’è chiesto il prof. Massimo Arcangeli che ha coordinato un gruppo di giovani linguisti, in compartecipazione con Agostini Associati, per rilevare l’utilizzo dell’Itanglese da parte dei principali quotidiani, settimanali, giornali radio, telegiornali e spot tv italiani.
 
Su StopItanglese.it, “titolo volutamente provocatorio” dice Massimo Arcangeli “per l’anglicissimo stop“ è possibile trovare tutti gli aggiornamenti delle rilevazioni condotte dal gruppo di lavoro. Il fenomeno dell’Itanglese, risulta, ha avuto una grande risonanza sulle principali testate giornalistiche cartacee e in rete, come il Giornale, l’Unità, il Corriere.it, Mark UP, MF  Milano finanza, il Sole24re.com oltre a interviste radiofoniche (Radio24, GR Radio2, Rai Radio City, Radio Padova) e televisive (TG COM economia).

Un’anglofilia forse inoffensiva ma superflua e pretenziosa” afferma Massimo Arcangeli: sarà inoffensiva, ma io invece mi sento offeso; di sicuro è superflua, perché l’italiano è una lingua ricchissima; e ancora più certamente è pretenziosa, e questo si ricollega al ceto colto, al latinorum. Questo ci ”induce a identificare i più grandi avversari dell’Italia con gli italiani stessi,continua Arcangeli – insinuando al contempo il sospetto che dall’arma puntata contro la nostra lingua dai suoi nemici interni partano solo gragnuole di salve, che i fuochi d’artificio dello stile animato da un’anglomania civettuola siano l’altra faccia del patetico esibizionismo, verbale e non verbale, di una fenomenicità del nulla”. Speriamo sinceramente che abbia ragione.

Questi studi hanno portato fino al lancio del cosiddetto “codice Itanglese”: una breve guida con l’obiettivo di aiutare tutti i comunicatori a dosare in modo più equilibrato gli anglicismi. Con la speranza che lo vadano a guardare, ogni tanto.

Ant.Mar.

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