domenica 3 novembre 2013

Venezia si ribella alle calli in italiano




Modificati, tradotti, “italianizzati”: Venezia cambia i nomi di calli, campi, campielli che diventano a prova di dizionario della lingua italiana. E così i tradizionali “nizioleti” (”lenzuoletti”, a proposito di traduzioni), ossia i quadrati dipinti di bianco sui muri delle case veneziane su cui sono incisi i nomi che identificano calli e campi, sono stati tradotti dal veneziano all’italiano: ecco allora che “sotopòrtego” diventa “sottoportico”, “terà” diventa “terrà”, “parochia”, “parrocchia”. I nuovi nomi, in occasione del restauro dei nizioleti, sono stati voluti dall’assessore alla toponomastica, la filologa Tiziana Agostini. Non l’avesse mai fatto: c’è chi lo ha definito uno “scempio”, chi un “orrore”, ma soprattutto, c’è chi pensa sia uno schiaffo alla storia e alla tradizione toponomastica (oltre che linguistica) di Venezia, apprezzata in tutto il mondo oltre che per le sue bellezze e particolarità artistiche e naturali, anche per la sua storia, di cui il dialetto fino a prova contraria fa parte.  

Ed è bufera: il web si scatena, armato fino ai denti di indignazione per il dialetto calpestato. Gruppi su Facebook, come “il passato e il presente dei nizioleti” (quasi 800 membri) hanno acceso i riflettori sul cambiamento che ha interessato la toponomastica di Venezia. Non solo italianizzazione, ma anche perdita del significato: su tutti, basti l’esempio di “Rio terà degli Assassini”. La traduzione “Rio terrà degli Assassini” perde il suo significato originale, dove “terà” stava per “interrato” e non per la declinazione del verbo tenere, alla terza persona del futuro semplice, “terrà”.  

La polemica infuria tra le placide calli veneziane, ma l’assessore spiega la scelta, cercando di contenere la furia dei veneziani insorti: “Qui si confonde il folclore con il rigore scientifico. L’uso della doppia non è una ’italianizzazione’ - ha replicato -, ma un ritorno alle origini storiche dei nomi e frutto di un lungo lavoro di un’equipe specializzata del Comune, che ha avuto la consulenza scientifica dell’Universita’ di Ca’ Foscari, e che ha confrontato varie fonti storiche, anche precedenti a quelle da cui derivano i nomi sui ’nizioleti’’”.  

Per il restauro (anche dei nomi), l’assessore si sarebbe avvalsa dell’ultimo Catasto della Serenissima datato 1786, ma i veneziani doc non ne vogliono sapere: tale stradario, puntualizzano loro “sarebbe stato scritto in “lingua” (come si indicava allora, il toscano letterario); logico che chi lo redasse, cercò di “ingentilire” i nomi veneziani poiché gli pareva rendere più elegante lo scritto”, si legge in un post nell’agguerrito gruppo sul social network. L’assessore ha anche provato a intervenire personalmente nel gruppo Facebook, con un post in cui spiegava e giustificava la sua scelta. Ma niente da fare. È la battaglia è ancora aperta. Lo diceva, in fondo, il proverbio: tradurre, è tradire... 

Fonte LaStampa.it